USA-Iran e divisioni tra stati musulmani, tra fatti e narrazioni (17gen2020)

In Libia il paradosso è che il conflitto interno ad un paese musulmano è un conflitto con attori sostenuti da forze esterne, molte delle quali musulmane, ma divise tra loro in campi opposti. Questo in netto contrasto con l’immagine ancora diffusa a livello di percezione popolare in Occidente di un islam monolitico che agisce in modo compatto. Il sistema mediatico non può più rappresentare il pericolo musulmano come unitario e anti-Occidentale come ha fatto per anni dopo l’attacco alle Torri Gemelle a New York nel 2001 e dopo gli attentati terroristici in Europa.

In realtà è in atto già da qualche decennio uno scontro interno al mondo musulmano che ha a che fare proprio con la questione del rapporto tra politica (e società) e religione. Il complesso rapporto con la cosiddetta modernità ha voluto dire per il mondo musulmano, nel suo complesso e nelle sue molto differenziate sfaccettature, come risolvere istituzionalmente, giuridicamente e nelle pratiche sociali il rapporto tra la politica e una religione che fa riferimento ad un dio unico e quindi ad un’unica pretesa verità. Verità che è stata sempre interpretata dagli esseri umani, quasi sempre maschi, e in contesti storici che necessariamente cambiano nel tempo.

I tre principali soggetti geopolitici di questa dinamica, va sottolineato moderna, nel mondo musulmano sono 1) l’Arabia Saudita (appoggiata dalle altre piccole monarchie del Golfo, anche se non tutte) e la sua interpretazione dell’islam (anche politico) secondo il conservatorismo wahhabita e le tradizioni beduine, 2) la proposta “moderna” dell’islam politico dei Fratelli Musulmani, nata in Egitto e quindi post coloniale e in rapporto con lo stato moderno; in una prima fase violenta contro le élite corrotte e filo occidentali, oggi più disposti verso le elezioni nei paesi musulmani dove sanno di poter vincere 3) la visione teocratica iraniana di Khomeini che dopo l’estromissione dello scià Reza Pahlevi nel febbraio 1979 ha teorizzato e realizzato con mezzi brutali un islam sciita che abbandona il tradizionale distacco dalla politica e si attiva invece come modello di stato islamico, non a caso repubblicano e non monarchico-beduino. A titolo di esempio: in Arabia Saudita le donne sono escluse dalla soggettività politica e sociale pubblica, mentre in Iran si vota senza discriminazioni di genere dai 16 anni e hanno anche ruoli politici pur se tutte devono obbligatoriamente coprirsi in pubblico.

Nelle dinamiche geopolitiche Arabia Saudita, Emirati, vari leader militari (anche arrivati al potere con colpi di stato) sono alleati validi per l’Occidente se hanno un potere interno stabile, se fanno affari con noi e costruiscono grattacieli (ciò che chiamiamo “essere aperti alla modernità”), se sono affidabili (cioè non cambiano bandiera e restano stabilmente nostri alleati); durante la Guerra Fredda con l’URSS portare dalla propria parte gli stati che man mano diventavano indipendenti era uno degli sforzi principali nella geopolitica. Oggi la preoccupazione rimane la stessa e gli stati che si propongono con una visione indipendente (non importa quale sia e quanto sia credibile) sono “instabili” e tendenzialmente nemici. Di volta in volta e in generale lo sono stati (e alcuni ancora lo sono) la Libia di Gheddafi, la Corea del Nord, il Venezuela di Chavez e poi di Maduro, l’Afghanistan dei talebani, l’Iran di Khomeini, per fare qualche esempio.

Il caso Iran ha però avuto un risalto particolare perché la sua proposta politica è entrata in rotta di collisione diretta con l’Arabia Saudita rinfocolando la primaria divisione tra sunniti e sciiti che ha spaccato da quasi subito la comunità musulmana dopo la morte di Maometto proprio sulla questione di chi fosse il più adatto a “guidare i credenti”: chi era del sangue del profeta (cioè Ali e quindi quelli dalla sua parte: scia Ali, gli sciiti) o chi era scelto dal consenso della comunità come da tradizione e costume (la sunna)? Questione complicata modernamente dal fatto che la proposta iraniana si appoggia su istituzioni repubblicane mentre i custodi dei luoghi sacri e i suoi vicini mantengono strutture monarchiche assolutiste.

Per logiche di schieramento geopolitico, di convenienza economica e di visione del mondo l’Iran, diventata una repubblica teocratica in pochi anni, non poteva che essere “nemico” dell’Occidente. Così nemico che abbiamo appoggiato Saddam Hussein che gli ha fatto la guerra per 8 anni dal 1980 al 1988 senza riuscire a sconfiggerlo; un Saddam Hussein diventato a sua volta nemico pubblico numero uno per sua protervia e per motivazioni false e pretestuose dopo l’attacco alle Torri Gemelle di New York nel 2001 in cui non centrava niente.

Per l’Iran gli USA sono diventati il satana mondiale, responsabile di tutti i mali del mondo soprattutto nel Medio Oriente grazie anche ai suoi protetti Israele e Arabia Saudita; per gli USA l’Iran è diventato la fonte di pericolo costante per tutto il Medio Oriente, sobillatore di rivolte e finanziatore di atti terroristici. Dal sequestro dei diplomatici statunitensi a Teheran (per il quale gli USA non smetteranno mai di volersi vendicare) e dalla guerra di Saddam Hussein (per la quale l’Iran non perdonerà mai gli USA) il confronto-scontro è continuato con azioni di guerra limitate, attentati, minacce reciproche, attacchi digitali e qualche raro caso di negoziazione; con effetti collaterali indesiderati (così li chiamano), come l’abbattimento di un aereo di linea iraniano da parte di una nave militare USA nel Golfo Persico il 3 luglio 1988: 290 vittime civili.

La questione del nucleare iraniano (solo civile dicono loro, per farsi le bombe dicono gli USA e Israele) è diventata la cornice (ideologica e fattuale) di questo scontro e della narrazione prevalente dei mass media mondiali. In suo nome prima dell’accordo sul nucleare del 2015 le sanzioni economiche decise dal’ONU hanno colpito la rendita petrolifera iraniana; dopo l’accordo l’Iran si aspettava un alleggerimento delle sanzioni fino alla loro scomparsa, ma Trump si é ritirato dall’accordo e ha aumentato le sanzioni, operando lo stesso tipo di ricatto che ho descritto nel mio precedente  podcast: chi fa affari con l’Iran (o compra il suo petrolio) non commercerà più con gli USA. La UE ha cercato di trovare una via d’uscita (anche perché non ha rinnegato l’accordo con l’Iran), ma il ricatto economico della più ricca economia mondiale divide gli stati “sovrani” della UE che puntano solo ai propri cosiddetti interessi nazionali. La situazione economica interna dell’Iran peggiora sempre più e gli USA di Trump sperano con questo che il regime degli ayatollah crolli.

L’uccisione mirata in Iraq da parte degli USA del generale Soleimani ritenuto, per prestigio e ruolo, secondo solo alla Guida Suprema Khamenei è stato in questo senso in continuità con lo scontro in atto, anche se di livello molto alto; più in relazione con la personalità egocentrica di Trump che per una valutazione razionale della sua utilità. Una uccisione presentata dall’ambasciatrice statunitense all’ONU in una lettera al Consiglio di Sicurezza come “un atto di auto-difesa”, così riporta Riccardo Barlaan sul Sole24ore del 10 gennaio. Un’autodifesa fatta a migliaia di chilometri di distanza dal proprio territorio, in un paese terzo senza nemmeno avvisarlo; una soggettiva interpretazione del cosiddetto diritto internazionale, fatta dal paese militarmente più forte del mondo.

Morto un capo ce n’è pronto subito un altro, probabilmente di minor qualità di Soleimani. E paradossalmente mentre la ritorsione iraniana è stata più morbida di quanto ci si potesse aspettare dopo le grandi manifestazioni di massa di cordoglio in Iran per i funerali di Soleimani, cinicamente si deve dire che l’abbattimento per errore di un aereo di linea iraniano da parte della propria contraerea (che si aspettava la contro-ritorsione USA) è stato un elemento calmierante del conflitto anche perché ha rinvigorito una opposizione interna al regime che già ha manifestato più volte in passato pur subendo pesanti repressioni.

Per concludere la situazione conflittuale dei casi dell’Iran e della Libia non è cambiata in modo significativo anche se alcuni eventi alzano il livello dello scontro (soprattutto emotivo e mediatico) e aumentano la conseguente possibilità che non si riesca a controllare la situazione o che le dinamiche non si auto-riequilibrino come spesso fanno.

I pochi attori in gioco rimangono gli stessi con le stesse caratteristiche. Fattori nuovi possono venire solo da nuovi approcci geopolitici di cui però non si vede traccia nei leader attuali, da eventi imprevedibili che danno una scossa alle dinamiche e magari da qualche mossa di Trump che vuole essere rieletto presidente a novembre, è sotto impeachment, e quindi ha bisogno di gesti simbolici, fatti e dichiarazioni che sostengano la sua immagine di leader forte e vincente che piace tanto ad una bella fetta di elettori bianchi statunitensi (maschi e femmine) convinti che gli USA abbiano un “destino manifesto” (voluto da dio) di guidare il mondo.

In tutto questo sanzioni economiche per violazione dei diritti umani, troppe condanne a morte, repressione e incarceramento di gruppi etnici, crimini ambientali, ecc. non sono mai utilizzate.